venerdì 11 settembre 2015

Essere felici ... Come?

È innato nell’uomo il desiderio di conseguire la felicità e di eliminare dall’esistenza il dolore e la sofferenza. Ma cosa impedisce alle persone d’essere felici? È frequente vedere gente che si lamenta del tempo, del lavoro, della vita di coppia, delle relazioni. Per molte persone la felicità è una questione d’orgoglio, un obiettivo ambizioso da perseguire con grande impegno e a volte a prezzo di sacrifici. Sarò felice... "quando finalmente sarò ricco", "quando sarò famoso" o "quando avrò una casa".
La felicità è una questione di responsabilità non come un peso che non dà alcuna possibilità di scampo, ma che  dà la possibilità di dire " sono responsabile di come sto e se qualcosa non funziona, ho la possibilità di cambiarla".

La causa principale del dolore e della sofferenza risiede nell’ignoranza e nella confusione mentale, perciò la felicità si può ottenere solo eliminando questi due ostacoli attraverso la liberazione della mente. Conoscere se stessi, controllare le emozioni distruttive, sconfiggere l'egoismo per aprirsi agli altri attraverso l'esercizio quotidiano alla compassione sono, in sintesi gli insegnamenti che il buddismo indica come gli ingredienti fondamentali per un'esistenza più felice.
E come dice il Dalai Lama “L'arte della felicità non attinge a credenze religiose o verità assolute, ma è la conquista e l'esercizio di una pratica quotidiana, difficile ma possibile: conoscere se stessi, capire le ragioni degli altri, aprirsi al diverso e guardare le cose in modo nuovo. In una parola, riscoprire la qualità umana per eccellenza: la compassione. Insegnandoci a trasformare le avversità in occasioni per conquistare una stabile e profonda serenità interiore”.

Importante è "osservare" i contenuti della mente senza lasciarsi trascinare dall'assorbimento autoidentificativo. La mente assorbe la realtà e poi la ri-proietta modificata, inoltre essa ci trascina ad identificarci con tale realtà "alterata" da molteplici condizionamenti. Purtroppo non sempre ne siamo consapevoli,  a volte creiamo una divisione tra l’osservatore e l’osservato, tra il soggetto dell’esperienza e l’esperienza stessa. L’essere umano ha creato dentro di sé "immagini" di un proprio bisogno di sicurezza, in modo da rassicurarsi una identità e dei punti di riferimento dove appoggiarsi. Invece si è ritrovato con immagine false che lo hanno condizionato. Il bisogno, oltre ad essere di richiamo è il segno di un disagio interiore, di una disarmonia, poiché se desideriamo la felicità e perché siamo infelici.

Sfogliando le pagine di un questionario fatto dai ragazzi di un liceo di Roma Paolo Crepet notò che non compariva mai la parola felicità e, chiedendo spiegazioni, i ragazzi risposero che trovavano quel termine “imbarazzante”.  Nella nostra cultura non è facile trovare la felicità e c’insegna a vivere le gioie come qualcosa da temere. Per Freud “…il prezzo del progresso della civiltà si è pagato con una crescente riduzione della felicità dovuta all’intensificarsi del senso di colpa … l’uomo ha sempre incautamente barattato la felicità con il senso di colpa”.

La felicità è dunque una conquista personale, uno stato mentale, non dipendente dai fenomeni esterni che, erroneamente e illusoriamente, siamo portati a credere d’esistenza intrinseca.

Lo sviluppo spirituale è connesso con il nostro essere felici ed è una capacità innata in tutti gli esseri umani, ma con l’avvento dell’era industriale la crescita spirituale è notevolmente diminuita. Il senso della realtà accettabile accoglie prevalentemente solo gli aspetti materiali, tangibili, misurabili dell'esistenza e questo ha portato ad un mal-essere diffuso. Il problema per l’uomo, secondo Fromm, sta nel fatto che l’ordinamento sociale umano non è adeguato alle sue reali potenzialità e quindi non favorisce la sua autenticità. Nel suo libro “Avere o essere” individua una serie di legami dell’uomo occidentale nell’uso esasperato dell’immagine e nei bisogni indotti; vincoli che impediscono appunto lo sviluppo del libero arbitrio. Solo la presenza di molte garanzie esterne protegge dall'angoscia e dalla depressione la persona di carattere ricettivo, perché essa ha perduto il contatto con la propria capacità interiore di produrre, di assumere iniziative, di formarsi delle convinzioni, di esprimersi autonomamente, di prendere decisioni, di amare, di essere.

Nella sua autobiografia Carl Gustav Jung afferma di aver rilevato, attraverso l'esame di migliaia di pazienti assistiti nella sua lunga carriera di psicologo, che oltre il novanta per cento della sofferenza psicologica è imputabile a carenze spirituali. Non è vero dunque che i beni materiali, la ricchezza e il successo riempiano la vita; per essere veramente e intimamente felice l'uomo ha bisogno di ben altro.

L’educazione interiore non è soltanto un percorso spirituale, ma un programma che gli esseri umani hanno sempre  intrapreso e perseguito al fine di sviluppare le potenzialità del pensiero introspettivo, per poi ampliare la razionalità, giungendo ad un contatto più stretto e sentito con il proprio e creare, plasmare un io più emancipato, maggiormente predisposto alle interrelazioni, sviluppando rapporti profondi e proficui con le persone. Ogni individuo che intraprende il percorso di conoscenza del proprio sé giunge a recuperare una maggiore attenzione verso un modo di essere più spazioso. Sempre più persone sono alla ricerca di risposte creative ai loro problemi e soprattutto di nuovi valori che diano un senso alla loro esistenza. Cresce l'esigenza di superare i vecchi schemi, i condizionamenti e di sentirsi liberi di seguire la propria strada. Questo è possibile facendo pratica con il nostro mondo interiore, conoscendolo a fondo e facendo germogliare i nostri talenti nascosti.

Oggi, si sta sviluppando un certo interesse per i rapporti tra psicologia e Buddhismo, un’attenzione determinata dai limiti emersi all’efficacia che la sola psicoterapia, possa bastare a risolvere i problemi, concentrandosi solo sulla ristrutturazione dell'io. La psicoterapia più tradizionale, infatti, non sempre sa cogliere gli aspetti più radicali della domanda d'aiuto da parte del paziente. Mentre in una pratica spirituale, in particolare se basata su tecniche meditative "forti", vengono vissuti conflitti psicologici, di cui si dovrebbe invece occupare la psicoterapia. Spesso l’interesse per la pratica spirituale è un alibi per nascondere o sopportare conflitti psicologici non risolti. Molte persone portano nella propria vita spirituale conflitti che non possono venire in essa risolti.

L'essere umano è qualcosa in più di quel mal-essere avvertito o identificato: il tutto è più della somma delle parti.

La sofferenza esiste e non è possibile evitarla né allontanandosi fisicamente, né coltivando illusioni.




“L’evidenza del dolore, del suo radicamento in ogni evento della vita umana, dalla nascita alla morte, può essere compresa da chiunque sia disposto ad accettare la propria esperienza esistenziale per quella che è, senza frapporvi la lente deformante dell’illusione autoconsolatoria”.

  (Mark Epstein).





Sia nel Buddhismo che nella la psicoterapia l'unica via d'uscita consiste in un lavoro approfondito
sulla mente, ma mentre la psicoterapia indaga sulle forme di sofferenza psicotica e borderline, il Buddhismo si occupa della sofferenza del cambiamento e della sofferenza onnipervasiva, su cui la psicologia non ha molto da dire. Il Buddhismo si occupa di  tre tipi di sofferenza:

1)      Dukka - la comune sofferenza, che deriva dalla nascita, la malattia, l'invecchiamento, la morte e che  si scontrano con le nostre fantasie illusorie di immortalità. Non ottenere ciò che si desidera, convivere con ciò che non si desidera ed essere separati da ciò che si ha caro crea insoddisfazione e il non riuscire a realizzare tutti i desideri.

2)      Viparinama-duhkha, la sofferenza come effetto del cambiamento, cioè la sofferenza che nasce quando un fenomeno piacevole con il tempo tende a divenire spiacevole, come ad esempio quando il piacere prolungato si trasforma in dolore o la persona a noi più cara diviene il nostro peggiore nemico.

3)      Samskara-duhkha, la sofferenza che pervade ogni fenomeno e che è connessa al nostro dipendere dai cinque aggregati psicofisici: la materia, la sensazione, la percezione, i fattori mentali e la coscienza. 

 La rinascita spirituale mette in movimento l'individuo verso un modo più vasto di essere, in grado di procurare una salute emotiva migliore, una maggior libertà delle scelte personali, il senso di un legame più profondo con gli altri, con la natura e con il cosmo. Il termine che è usato per indicare l'esperienza diretta delle realtà spirituali è "transpersonale" che, se pur appare di recente, si rifà alle antiche tradizioni spirituali (il Buddhismo, il Sufismo, l'Induismo, il Taoismo e altre ancora). Questa esperienza la possiamo comprendere partendo dalle prove che la nostra vita ci offre. Sono presenti molti casi di situazioni limiti, come per es. un incidente stradale,  la perdita di coscienza, ma anche il parto o uno sforzo intenso e tutte quelle esperienze di quasi-morte. Esperienze che di solito sono insopportabili e dolorose, ma anche possono far immergere la persona nel suo inconscio. Altri esempi sono i sogni, una ricchezza d’immagini, sensazioni corporee e di emozioni, le sedute d’ipnosi e varie pratiche spirituali.

Con i nostri sensi ordinari possiamo sperimentare solo ciò che avviene qui e ora, nel luogo e nell'istante in cui ci troviamo. Negli stati mentali transpersonali, sperimentiamo noi stessi come un campo di coscienza, un luogo di scambio di energie, che non sono prigioniere di un contenitore fisico. Possiamo sentirci tutt'uno con altre persone, gruppi d’individui, perfino con l'intera umanità.

Il termine transpersonale sembra essere stato utilizzato per la prima volta da Roberto Assagioli, il creatore della psicosintesi ed in seguito da Gustav Jung. Questo orientamento cominciò ad affermarsi nel campo della psicologia intorno agli anni sessanta, a partire dall'opera di A. Maslow, il quale per primo mise l'accento su una psicologia "evolutiva" che considerasse lo "sviluppo delle potenzialità", "la soddisfazione graduale dei bisogni" la relazione tra "persona e persona" nel rapporto terapeutico, l'esperienza mistica, come momenti fondanti di un percorso d’auto-realizzazione. Secondo l’autore, l’auto-realizzazione è lo scopo finale di una persona. Essa però può richiamarvi l’attenzione solo dopo che i bisogni fisiologici, di salvezza, d’appartenenza, di amore e di stima siano stati soddisfatti. Le persone autorealizzate sono coloro che hanno soddisfatto i “loro bisogni” ad ogni livello. Quando i bisogni fondamentali non sono stati soddisfatti, permangono le frustrazioni alle esigenze positive di realizzazione del sé; di conseguenza le persone avranno problemi di crescita o di sviluppo personale.

Molte potenzialità umane sono a nostra disposizione, ma ciascuno di noi nasce in una particolare cultura la quale seleziona e sviluppa un piccolo numero di queste potenzialità e ne respinge o ignora molte altre. Quando si lasciano affiorare e li si sperimenta sino in fondo, integrandoli nella coscienza, essi perdono il loro potere di influire su di noi in modo negativo. Questi stati transpersonali possono innescare una trasformazione molto benefica su chi li vive e sulla sua esistenza.

Possono inoltre ridurre le tendenze aggressive, migliorare l'auto-immagine, accrescere la tolleranza verso gli altri, promuovere la qualità generale della vita, favorire un profondo senso d’unione con gli altri e con la natura.

“… Esiste una vasta area, nell’ambito della trasformazione della personalità che non riusciamo a  cogliere  e che possiamo attribuire alla misteriosa creatività della vita … La disperazione ha dato luogo alla speranza, l’egoismo è stato sostituito dalla dedizione, la vigliaccheria si è trasformata in coraggio, il dolore è stato sconfitto dalla gioia, la solitudine è stata dissipata dall’amore … Noi, nella nostra funzione di counselor , abbiamo dato una guida, ma sono le forze creative della vita che operano il miracolo della trasformazione”.

Con la saggezza e il profondo calore umano, Rollo May spiega come il compito del counselor sia quello di favorire lo sviluppo e l'utilizzazione delle potenzialità del cliente attraverso un atteggiamento empatico che fa trasparire la capacità di accogliere e rispettare l'altro.

“Il coraggio che ogni uomo deve possedere è di essere se stessi e di confidare in se stessi nonostante la propria limitatezza; significa agire, amare e pensare, pur sapendo di non possedere le risposte definitive”.

Dobbiamo imparare ad abbandonare il proprio sé all’altro, essere disposti a venire trasformati… morire a se stessi per vivere con gli altri. È la perdita temporanea della propria personalità per ritrovarla, infinitamente più ricca, nell’altro. “Ciò che tu semini non riprende vita se prima non muore…”

Come si può procedere in un mondo dove tutto è così accelerato, dove l’alibi “non ho più tempo” estranea sempre più l’essere umano dalla sua vera natura riducendolo a macchina produttiva  e accumulatrice?  Quale è allora il primo passo per giungere a questa consapevolezza? Come vivere pienamente e in modo sano una vita spirituale?

Un modo è guardare avanti e scoprire, in mezzo al disordine, anche l’armonia dei nuovi percorsi esistenziali e spirituali e la ricchezza delle nuove culture e dei nuovi stili di vita. L’Educazione interiore è stato il percorso più consone per iniziare l’evoluzione del mio essere. Attraverso l’auto-esplorazione ho intrapreso il viaggio verso la conoscenza e recuperato una maggiore attenzione per la dimensione affettiva di molte emoziona latenti e maturato rapporti più autentici con le persone.

I passi sono stati graduali e spesso difficili, ma i margini di riflessione che gradualmente mi sono donata mi hanno portato nella mia storia, analizzando le vicende tra gioie e dolori, ripercorrendo successi o insuccessi e tutte le singolarità del mio vivere quotidiano. Quello stare poi con me stessa ha fatto il resto. Le prospettive che offre la meditazione sono innumerevoli.

Non mi è facile dare un significato di meditazione o a cosa porti perché è una pratica nella quale gli effetti sono intimi e unici per ogni persona, solo essere in meditazione si comprende che cosa essa sia. Meditare non è sempre facile n’è piacevole: la posizione, la rinuncia  al fare, il doversi predisporre a stare lì quando si hanno piccoli e numerosi impegni diventano spesso degli ostacoli. Poi senti che quel momento è singolare, ha qualcosa che esula dalle teorie o dal seguire i consigli. Si comincia dal sentire qualcosa che cambia per poi diventare, a lungo andare, una forma di terapia dove tensioni, ansie o preoccupazioni perdono la loro forza. Lo si avverte da ogni gesto che viene fatto, anche su quelli che prima apparivano insignificanti come il camminare o l’osservare una foglia che cade dal ramo. Il senso della meditazione scaturisce gradualmente, ma prima è necessario un lavoro su di sé. Meditare è raccogliere l’attenzione concentrandosi sul proprio sentire interiore, ascoltando il battito del cuore o seguendo il respiro per arrivare lentamente alla condizione naturale e sana del corpo e della mente. Attraverso una serie di esplorazioni della propria dinamica fisica e mentale si è pienamente presenti, consapevoli del qui ed ora. Meditare porta al raggiungimento di uno stato di calma fisica e mentale che è l’accesso più diretto alla comprensione dell’impermanenza in ogni aspetto della nostra esistenza. Ogni cosa, persona, essere, fenomeno, situazione sono impermanenti, attivi, condizionati, ossia soggetti a nascita e distruzione. Se abbiamo qualcuno o qualcosa che ci piace abbiamo paura di perderla, se ci manca qualcosa o qualcuno ci preoccupiamo di cercarlo. Desideriamo che le cose  siano permanenti, ma ci scontriamo in modo forte tra come è la realtà e  come  vorremmo che fosse. Per  essere felici pensiamo che debbano essere soddisfatte certe condizioni, ma non possono mai esserlo perché  sono condizioni transitorie questo è un modo difficile poi da sopportare. C’è un continuo darsi da fare, un’incessante ricerca del momento successivo, un insaziabile aggrapparsi alla vita, uno stato di agitata irrequietezza. Soffriamo per ogni cambiamento, le cose belle vorremmo che durassero in eterno e quelle spiacevoli evitarle a tutti i costi. È  come il giardino del vicino che è sempre più verde del nostro, ma appena diventa nostro perde quel luccichio che aveva quando lo desideravamo. Ecco la meditazione è comprendere il passaggio della transitorietà, ci consente di cedere all’attaccamento e all’identificarci fortemente a quel io generato da un concetto, mentre l’io è un processo, la persona è un processo…Si può osservare la natura mutevole dei fenomeni ponendo l’attenzione sulle sensazioni fisiche nel corpo e si arriva a comprendere che la realtà non è statica e che ogni cosa cambia in continuazione. Meditare porta, pian piano, alla cessazione della sofferenza e delle tensioni interne. Se  non c’è più quel io nel quale ci identifichiamo fortemente si rimuovono tutti i condizionamenti che quel io si porta dietro, come il dover rispondere in maniera conflittuale  a certe sollecitazioni o a l’aver bisogno di certe cose:  tutto emerge  per quello che è.
 
Allora meno ci si identifica con lo strumento mente/corpo, meno si è coinvolti da esso e più si ha il controllo dello stesso. Spezzare questo meccanismo è importante e ci si può riuscire se si mette a fuoco un altro aspetto della questione, l'uomo vive in ragione della soddisfazione dei "bisogni", il bisogno di essere felice, di star bene, di esser contento, di esser sereno in opposizione allo star male, alla sofferenza, qualunque essa sia.
Il lavoro spirituale  non sostituisce il lavoro psicologico, ma anzi può integrarlo.
L'incontro tra psicologia e Buddhismo può risultare particolarmente fecondo in quanto si può dimostrare come non sia del tutto vero l'asserzione freudiana del principio di piacere, secondo cui vi sarebbe un'automatica reazione di allontanamento da ciò che è spiacevole e di avvicinamento a quanto è invece piacevole, poiché alcune tecniche meditative, se basate sulla consapevolezza, lavorano efficacemente proprio tra la sensazione piacevole o spiacevole e il desiderio o l'avversione successivi. 
Inoltre, con questa pratica s’incrementa l’amorevole gentilezza e l’attitudine a eseguire le nostre funzioni quotidiani con maggiore comprensione, si comprende l’essenza della consapevolezza dell’essere. È qualcosa  che ci riempie  di  energia ci fa star meglio nel presente, aiuta a capire quello che si è e come si è in quel momento. Non ci isola dalla realtà, ma ci aiuta a vivere meglio la nostra vita. È sorprendente come nel mondo si stanno diffondendo sempre di più centri di meditazione e sempre più sono le persone che trovano questa pratica molto più salutare di un farmaco calmante. Il mio augurio è che, anche nelle scuole, possa diffondersi come disciplina quotidiana, non solo come fonte per un risveglio interiore, ma per rendere molto più efficace lo studio ed ogni aspetto della vita quotidiana,  momento per momento.

 

 

 

 



 

1 commento:

  1. cosa si può rispondere? Alla fine è tutto in quello che hai scritto. E' che trovare la pace è un miracolo, come avere la Fede. O ce l'hai, o non ce l'hai. Certo non si può averla per forza. Chi sta nel mezzo è destinato al tormento eterno.

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