mercoledì 23 gennaio 2013

La felicità ... una questione di responsabilità



La felicità?” disse il bell’uccello e rise con il suo becco dorato, la felicità, amico, è ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli”.
(Herman Hesse – Favola d’amore)


Cos'è che impedisce alle persone d’essere felici? Ci lamentiamo del tempo, delle relazioni, protestiamo per i servizi, reclamiamo diritti e ci affidiamo al desiderio di essere soddisfatti attraverso una sequenza d’immagini mentali: - “Sarò felice quando finalmente sarò ricco", "quando in famiglia andrà tutto bene" o "quando farò carriera e potrò comprarmi una casa". Sono solo possibili vie di scampo, come l’esito di una qualsiasi partita che, se vinta, si glorifica la vittoria, se persa, s’impreca la divinità o il destino.
Nei testi buddhisti si afferma che la causa principale della sofferenza risiede nell’ignoranza, infatti, l’origine della nostra confusione mentale è dovuta al modo in cui interpretiamo la realtà.
L'idea latina considerava la realtà “ciò che l'intelletto crede circa la verità della cosa” (Wikipedia), poi nel tempo, tra scienza e filosofia, si sono create intense discussioni su questo termine. Che cosa intendiamo quando si afferma che una cosa esiste? E ciò che conosciamo esiste veramente? Nel corso della storia sono state coinvolte molte discipline umane e, ogni risposta data, ha sempre trasformato il concetto.
 Di un fenomeno consideriamo solo una gradazione e l'altra la ricostruiamo con l’immaginazione, oppure assimiliamo la realtà e poi la riproduciamo modificata, identificandoci con essa. Purtroppo non sempre ne siamo consapevoli, a volte creiamo erroneamente una divisione tra il soggetto che osserva e l’oggetto osservato, tra il soggetto dell’esperienza e l’esperienza stessa. Il nostro “creare” proviene dal nostro mondo interiore, elaboriamo immagini che rispecchiano il nostro bisogno di sicurezza, che assicurino un’identità e dei punti di riferimento dove appoggiarci per essere riconosciuti dagli altri. A ogni età cerchiamo la felicità per non perdere ciò che si deteriora, ma se cerchiamo la felicità, è perché siamo infelici. La realtà è accettata negli aspetti materiali e misurabili dell'esistenza generando un mal-essere diffuso a causa delle illusioni e dalla forte competizione che inducono a possedere per non essere di meno.




La felicità è dunque una conquista personale, uno stato mentale, non dipendente dai fenomeni esterni.
Lo sviluppo spirituale è connesso con il nostro essere felice ed è una capacità innata in tutti gli esseri umani, ma con l’avvento dell’era industriale la crescita spirituale è notevolmente diminuita. Fromm, nel suo libro “Avere o essere”, individua l’uso esasperato dell’immagine e nei bisogni indotti. Per una persona vulnerabile, la presenza di molte garanzie esterne, aiutano a proteggerla dall'angoscia; in questo modo essa perde il contatto con la natura del proprio essere, perdendo stima nelle sue capacità di esprimersi autonomamente e di possedere attitudini interiori. Jung afferma di aver rilevato, attraverso l'esame di migliaia di pazienti, che un’alta percentuale della sofferenza psicologica è imputabile a carenze spirituali. Non è vero dunque che i beni materiali, la ricchezza e il successo riempiano la vita … l'uomo ha bisogno di ben altro.
Ogni individuo che intraprende il percorso di conoscenza del proprio sé giunge a recuperare una maggiore attenzione verso un modo di essere più spazioso. Sempre più persone sono alla ricerca di risposte creative e soprattutto di nuovi valori che diano un significato alla loro esistenza.
Tutto questo è possibile facendo pratica con il nostro mondo interiore, quando arriviamo a conoscerlo ritroviamo le nostre attitudini.
Non si procede se ci si rifugia nelle pratiche spirituali solo per nascondere conflitti psicologici non risolti. La sofferenza esiste … non si evita allontanandola fisicamente né coltivando illusioni. 

“L’evidenza del dolore, della sua presenza in ogni evento della vita umana, dalla nascita alla morte, può essere compresa da chiunque sia disposto ad accettare la propria esperienza esistenziale per quella che è, senza frapporvi la lente deformante dell’illusione auto consolatoria”.
                                                                                                                                (Mark Epstein).




C’è più apertura tra psicologia e buddhismo, oggi la sola psicoterapia o la sola pratica buddhista non ha efficacia se non c’è cooperazione. La psicoterapia più tradizionale non sempre sa cogliere gli aspetti più profondi della domanda d'aiuto mentre, in una pratica spirituale come quella meditativa, possono emergere inquietudini, di cui si dovrebbe invece occupare la psicoterapia. Per entrambi esiste una via d'uscita e consiste nel lavorare sulla mente, diverse sono le pratiche utilizzate: la psicoterapia indaga sulle forme di sofferenza psicotica e borderline, il buddhismo si occupa della sofferenza del cambiamento e della sofferenza onnipervasiva, su cui la psicologia non ha ancora molto da dire. La comprensione delle 4 N.V. fa rinascere qualcosa perché mette in movimento la persona; a piccoli sprazzi la salute emotiva migliora e, di conseguenza, cambia il comportamento con gli altri e con se stessi. È un’esperienza che parte dalle prove che la vita offre e che si può abbracciare e condividere.
Abbiamo molte possibilità a nostra disposizione, ma potenziamo solo una piccola parte e respingiamo o ignoriamo molte altre. Solo quando si lasciano affiorare e le sperimentiamo (integrandole nella coscienza), perdono il loro potere di influire su di noi in modo negativo. 

“Il coraggio che ogni uomo deve possedere è di essere se stessi e di confidare in se stessi nonostante la propria limitatezza; significa agire, amare e pensare, pur sapendo di non possedere le risposte definitive”. Rollo May



La realtà, per come la viviamo, a volte non da una mano. Sono sempre meno le famiglie ricche e sempre più numerose quelle povere. I numeri si allontanano dall’equilibrio e accentuano le differenze. Oggi il disagio è sempre più collettivo, i diritti individuali non sono gli unici testimoni delle disparità e ingiustizie, sono i gruppi sociali che, con qualsiasi mezzo comunicativo, stanno esprimendo il loro disagio, sono immigrati, operai, disoccupati, precari, studenti, pazienti e famiglie. La base sociale che dovrebbe garantire è in crisi. Nel sociale umano agiscono le infrastrutture pubbliche e quando vanno in tilt, mettono in ginocchio ferrovie, comuni, regioni, ma anche autostrade e vie aeree. Per non citare il fattore climatico che sta mettendo in stato di emergenza varie aree della Penisola.
Come si può procedere in un mondo, dove tutto è così accelerato? L’alibi “non ho più tempo” estranea sempre più l’essere umano dalla sua vera natura riducendolo a macchina produttiva e accumulatrice.
Qual è allora il primo passo per andare verso la consapevolezza?
Un modo è guardare in mezzo al disordine e scoprire nuovi percorsi che conducono a nuovi stili di vita. L’educazione interiore diventa prioritaria, porta a conoscersi, a dare più attenzione alle emozioni nascoste e favorisce la costruzione di rapporti più autentici con le persone.
La felicità è una questione di responsabilità non come un peso che non dà alcuna possibilità di scampo, ma che dà la possibilità di dire " sono responsabile di come sto e se qualcosa non funziona, ho la possibilità di cambiarla".





“L'arte della felicità non attinge a credenze religiose o verità assolute, ma è la conquista e l'esercizio di una pratica quotidiana, difficile ma possibile: conoscere se stessi, capire le ragioni degli altri, aprirsi al diverso e guardare le cose in modo nuovo. In una parola, riscoprire la qualità umana per eccellenza: la compassione. Insegnandoci a trasformare le avversità in occasioni per conquistare una stabile e profonda serenità interiore”.

Dalai Lama




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