sabato 9 febbraio 2013

Educare

L’esperienza del primo percorso della vita e la base del processo evolutivo dell’essere umano, per questo ritengo sia importante dare un posto prioritario all’educazione.
Non esistono progetti educativi specifici, né a livello scolastico, né a livello familiare e sociale, che aiutino l'individuo a diventare sempre più autonomo, anzi si potrebbe ipotizzare che la società abbia bisogno di soggetti passivi, validi consumatori e semplici utenti. L’ipotesi culturale si esprime attraverso un certo modo di lavorare che parte dal momento scolastico per giungere a coinvolgere la vita intera. Ogni bambino, ogni ragazzo è unico e irripetibile con il suo temperamento, le sue inclinazioni e le sue esigenze. La scuola dovrebbe essere capace di accogliere tutta la persona per realizzare le naturali potenzialità e stimolare l’interesse per la realtà nei suoi molteplici aspetti. Così gli alunni possono essere in grado di cercare nuove ipotesi e proposte alternative anche in campo disciplinare, ma nel contempo allargare i propri interessi, toccando quasi senza rendersene conto problemi esistenziali e aprendosi a nuovi stili di vita. In questo modo è la scuola che può educare ad apprendere, valorizzando l'allievo e limitando così la mortalità scolastica, la dispersione o peggio ancora la fuga dalla realtà, di fronte alle frustrazioni; l’educazione viene così percepita, come strumento per crescere ed essere e non per contare per qualcuno o avere di più.

Il nuovo scenario del processo formativo evidenzia come i linguaggi e gli strumenti adottati nelle scuole hanno modificato i processi d’insegnamento. Insegnare continua ad essere una sfida tra bisogni che cambiano, riforme e complessità sociali dove non solo è sufficiente stare al passo con le tecnologie informatiche, ma diventa decisivo sanare e valorizzare anche il proprio essere interiore. Le trasformazioni avvenute nella nostra scuola hanno consentito un nuovo modo di lavorare, si è compreso che il punto di partenza è utilizzare i profili mentali degli studenti, conoscere il loro mondo tra diritti, bisogni e abilità per poi agevolare e incoraggiare i cambiamenti nei docenti attraverso nuove strategie didattiche.
 
“Trasmettere conoscenze ad un allievo in modo che egli le comprenda e le assimili ha un senso restrittivo perché solamente cognitivo […] C’è una inadeguatezza sempre più ampia, profonda e grave tra i nostri saperi disgiunti, suddivisi in discipline da una parte, e realtà o problemi sempre più poli-disciplinari, trasversali, globali e planetari dall’altra.”(E. Morin)
Partendo da questa consapevolezza ho sentito il bisogno di uscire dalla mia preparazione accademica, consapevole che è nelle verità dottrinali, dogmatiche che si tengono riposti le peggiori illusioni e, come dice Edgar Morin, “la conoscenza è una navigazione d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezze”. 



Le cose importanti della vita

È c’è qualcosa in più

Noi diamo miriadi di forme ai vasi che costruiamo, ma è solo il loro vuoto interno che può contenere tutto ciò che vogliamo"
                                                             Lao Tzu

 Senza vuoto non ci sarebbe forma. Senza vuoto non c’è funzione della forma. Se la mente non si svuota di tanto in tanto non è possibile metterci cose nuove, e le vecchie dopo un po’ si deteriorano
Poichè desideriamo sentirci sicuri abbiamo perso il senso di creatività, è un senso nel quale il sè è assente (bambini), nel quale il pensiero non si focalizza su un'esperienza particolare. Il seguire un maestro, un guru , la guida di turno distrugge la creatività.
J. Krishnamurti


Omraam Mikhael Aivanhov  Le Quattro Operazioni

http://www.youtube.com/watch?v=NcTkGvqoJQQ&feature=player_embedded


 Essere educatori oggi


Passi importanti sono stati intrapresi per cercare di ovviare alcuni dei principali problemi che emergono nel lavoro  dell'insegnante, e ciò è indicato in alcune esperienze d’intervento/ricerca. Alcuni di noi si sono messi in gioco, riorganizzando nuovi pensieri e, in questo passaggio di trasformazione abbiamo lasciato tracce efficaci non solo nel contesto sociale e nelle organizzazioni produttive, ma anche nelle organizzazioni pubbliche dove, spesso, è demandato alla creatività di noi docenti sanare il deficit istituzionale. Nel seguire corsi e seminari ci siamo orientati alla ricerca di nuove opportunità, nuovi metodi per aiutare i ragazzi ad apprendere intorno a se stessi. Così facendo abbiamo riscontrato dei risultati consistenti soprattutto nella pratica dell’orientamento narrativo e della Peer Education. Il processo della P. E. prevede una stretta integrazione tra adulti e giovani rendendoli più consapevoli delle scelte e delle azioni. I ragazzi diventano soggetti attivi della conoscenza e più in generale della propria formazione, inoltre promuove un dialogo costruttivo tra le diverse generazioni e favorisce la realizzazione di uno scambio tra chi sa e il gruppo, generando un arricchimento reciproco. L’orientamento narrativo ha la forza di aiutare i giovani a disegnare la propria esistenza, aiutandoli a scoprire che  il vissuto, passato e presente, è decisivo per la costruzione della loro identità e favorisce un’apertura meno traumatica per progettare il futuro.
Tutti traggono profitto dalle proprie esperienze personali, ma sono consapevole che c’è ancora molto da imparare, gli eventi che vivo ogni giorno mi trasmettono questo bisogno. Lo avverto nei luoghi d’incontro, nei consigli di classe, nel ricevimento dei genitori e nei ritrovi occasionali in sala insegnanti o tra colleghi di passaggio tra una classe all’altra, dove rabbia, disillusione, entusiasmo, preoccupazione, sconforto, rassegnazione, gioia sono le varie manifestazioni emotive che colgo tra loro. A nulla servono provare diverse strategie, come minacce di sospensioni o eseguendo separazione, cambiamento di postazioni, se nona dottiamo misure che aiutino i ragazzi ad imparare a stare insieme “bene” ed a lavorare aiutandosi l’uno con l’altro.

Cos’è dunque che non va e cosa possiamo fare?

Lasciarsi condizionare troppo dalla programmazione e dalla valutazione rappresenta il vero pericolo per un buon insegnamento educativo. Alcuni insegnanti sono impegnati a ricercare nuove strategie didattiche, organizzative, relazionali; altri seguono la routine, ripetendo schemi d’azione consolidati dalla tradizione.
Molti sono vincolati da programmi didattici stereotipati, legati ad una formazione del passato e che rende la vita rigida e sofferente soprattutto quando il risultato non è conforme alle loro attese programmate. Molti denunciano di essere costretti a “ridurre il programma” e di aver rinunciato alle proprie pretese didattiche e questo, con senso di rammarico, se i risultati, sono confrontati con le precedenti generazioni di studenti. Accade di sentire dire: “ Ho ridotto i parametri di valutazione che più di così non si può … eppure molti hanno ancora l’insufficienza”. Desiderare di trasferire le proprie conoscenze come forma gratificante per sostenere le nostre abilità è, a dir poco, fuorviante allo spirito educativo. Una scuola impegnata ad assicurare il successo formativo a tutti gli alunni, non può vivere d’abitudini didattiche: non ci sono programmazioni, unità didattiche, criteri valutativi che vadano bene per tutte le situazioni, ogni alunno è diverso dall’altro. Il nostro compito non è più solo direttivo o esecutivo, finalizzato a rispettare regole o schemi fissi, ma diventa sempre più una ricerca che mette in movimento il nostro essere sia verso nuove conoscenze, mediante documentazioni, testi, esperienze degli altri,  sia aprendo il proprio spazio interiore, meditando o riflettendo, senza mai dare nulla per scontato, in modo da ampliare la nostra ricettività nell’ascoltare i bisogni degli altri.
Trasmettere i propri saperi con passione non è solo attivarsi a trasmettere conoscenze e teorie spesso interessanti, se non riconosciamo, nello sguardo di molti ragazzi le varie afflizioni.
Quante volte troviamo la classe nel caos al cambio dell’ora? Solitamente accade dopo una prova scritta o una verifica orale. Spesso entriamo nelle vesti della “disciplina”, vogliamo silenzio e attenzione, come se fosse la prima ora. Passare da una disciplina all’altra richiede un “recupero” e una “riattivazione” del cervello, quindi del tempo ed ogni alunno ha il suo. Chiedere com’è andata diventa quindi momento di liberazione, i ragazzi scaricano la tensione accumulata liberando più spazio per l’apprendimento successivo.
A volte diventa necessario fermarsi, senza avere fretta o provare rancore se la lezione programmata viene meno, e “sacrificare” quella ora d’insegnamento al loro ascolto, offrendo uno spazio libero perché possano raccontare le loro esperienze, divenendo noi stessi ascoltatori d’esperienze altrui. Dare respiro alla gestione delle loro emozioni, come la rabbia e l’ansia, può aiutarci a trovare forme comunicative più consone al loro processo evolutivo, un modo questo che li condurrà, progressivamente, a prendere maggiore consapevolezza del loro ruolo di studenti. In questo modo le interrogazioni, i compiti, i lavori degli alunni non saranno solo un insieme di attività quantitative, soggette a valutazione periodiche, ma serviranno a riflettere, guidando lo studente a capire com’è possibile fare meglio.

L’emotività s’inserisce in ogni situazione comunicativa ed è compito d’ogni educatore prestare attenzione a quest’aspetto per facilitare il parlare libero. In questa dinamica i ragazzi arrivano a scoprire che hanno un valore, che possiedono competenze di cui raramente sono consapevoli. Imparano a conoscersi e a rapportarsi con gli altri con più fiducia, a superare i conflitti soprattutto quando le barriere comunicative si sono allentate. Raccontando il loro mondo si sentono protagonisti; imparano ad accettarsi ed a condividere con gli altri saperi ed esperienze, riconoscendo le diversità come ricchezza in modo da riuscire a costruire un gruppo d’apprendimento meno competitivo e più produttivo.  
Per noi insegnanti non sempre è facile mettere in discussione conoscenze e valori che, così faticosamente, abbiamo appreso e che ci hanno condotti a svolgere una professione così delicata.  
I cambiamenti avvenuti in questa epoca storica richiedono una diversa disposizione mentale di tutti coloro che operano nel mondo educativo, un’apertura che possa spingere a pensare con più spirito d’appartenenza alla comunità scolastica e con maggior consapevolezza.

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