Ricordo che un tempo,
chi lavorava la terra, sperava che i figli vivessero in una città ricca
di confort e che diventassero operai della Fiat, della Breda e quant’altro.
Molti migrarono dal Sud al Nord e molti ci riuscirono. Ma furono in troppi a desiderare.
Così si costruirono dormitori nelle periferie delle grandi città e nacque un
nuovo sogno e venne il momento che l...e famiglie di operai ebbero l’ambizione
di desiderare per i propri figli di diventare architetti, dottori, ingegneri,
avvocati, insegnanti, notai, imprenditori, liberi professionisti. Per possedere
una casa propria, una macchina, privilegi, vacanze oltre i confini, insomma uno
“status sociale” degno di rispetto. Per tutto questo si fecero sacrifici
immensi e dolorosi risparmi .... in molti ci riuscirono. Oggi cambia la
speranza e chi ha raggiunto quegli apparenti privilegi, ha un sogno che abbiamo
rinunciato solo pochi anni prima. Fantastica che i propri figli possano almeno
essere operai, idraulici, manovali, meccanici, falegnami .... solo in pochi ci
riescono. In molti trovano serie difficoltà tanto che, chi può, cerca di andare
oltre i confini. Così, in questa nuova realtà, il precario cinquantenne ... e
sono in molti... ha solo un sogno che suo figlio possa almeno diventare contadino. Tutto si ripete, ma in forma sempre più drammatica.
E’ forse vero che la società debba esistere solo per
dare all’essere umano prosperità e libertà?
Nessuna società offre la possibilità di rendere l’uomo libero. Tutti la
costituiscono, la organizzano la guidano secondo i propri bisogni e i propri
stati psicologici, ma essa ha creato nuovi conflitti annientando anche la
nostra intimità. Non abbiamo trovato quell’equilibrio tra esterno e interno,
tra uomo e cittadino. Non può prevalere il senso di appartenenza a un gruppo
sociale quando si annichilisce o si sacrifica l'uomo.
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