mercoledì 25 novembre 2015

Quando manca l’arte del vivere


C’è molta ignoranza sulla storia di questo martoriato mondo e troppo ci soffermiamo sui nostri confini. Da echi giunti da lontano e per sentito dire giudichiamo e condanniamo, come se la responsabilità è sempre degli altri. A scuola i giovani studiano le divise militari, le strategie e i motivi che hanno innescato la prima e la seconda guerra mondiale … poi tutto tace. E così, dopo l'ennesima tragedia che ci ferisce, arrivano i “saggi” che si considerano “profeti delle sciagure” e offrono la loro ricetta contro gli immigrati che fuggono dalla violenza e una maggiore militarizzazione del territorio . C’è ancora molta ignoranza su quanto tutto ciò che accade nel mondo è interconnesso. Ha utilità cercare il colpevole?
 

 


Si pensa davvero che accettare di scambiare le offensive con la pace tutto l’odio accumulato nel tempo, cessi di esistere? L’odio ha molte storie e non riguarda un solo evento. Abbiamo perso l’arte del vivere e non c’è politica o religione che tenga a questo scempio. Ci nutrono di paura immagazzinando l’orrore con lo scopo dell’affare … (e parlo di armi, proselitismo, interventi per la “pace” e per la “giustizia”) per poi giustificare il loro intervento in nome della nostra sicurezza. Non c’è alcuna ricerca spirituale in questi “dotti” se non il loro sventolare conoscenze in strategie che confondono le masse tanto da farle accettare la militarizzazione delle città. Le esigenze di sicurezza, in questi tempi così difficili, richiedono anche l’elogio di chi interviene militarmente con tecnologie sempre più artefatte. Guerre di mercato e invasive che oltre a colpire il nemico creato si falcidiano persone incolpevoli e ignare "dell’intelligenza" di queste armi e dei loro sapienti creatori.
 



L’arte del vivere riguarda il rapporto con ogni cosa - tra gli esseri umani, con il cielo, la terra, l’acqua - e non in un ideale di pace astratto. Riguarda ciò che accade in questo istante e solo in quest’arte di vivere può nascere una nuova cultura.  Una libertà che vedo sempre più lontana!

 



Non so come sarà domani, di certo mai uguale a com’è stato l’oggi. Non possiamo rimettere le cose com’erano né realizzare ciò che vorremmo. Penso che, in mezzo  a tutto quanto, possiamo trovare momenti di serenità. Il dolore risveglia la nostra presenza dandoci la possibilità di vivere per noi stessi … Siamo ancora molto poveri spiritualmente, così la sera quando il cielo si colora, mi avvio a salutare il giorno … nel ritorno mi sento passeggera.
 
 
 
 
 
 
 

venerdì 16 ottobre 2015

Come ritornare alla Natura?


Thoreau nel suo splendido racconto “Walden” nel rammentare l’importanza della natura dei boschi scrive:

 
“Ho imparato che il commercio corrompe tutto ciò che tocca; e se anche si commerciasse in messaggi celesti, la maledizione del commercio colpirebbe comunque”.



 
Maremma Toscana  (foto di Gabriella Parra)
 
A nulla serve contribuire alla crescita economica se ciò che creiamo è poi minore in ciò che distruggiamo. Il fallimento del mercato è cosa nota. Tutto ciò che ci circonda, lo dimostra. Povertà, delusioni, sofferenza, malattie. Gli impatti negativi circolano nella nostra vita. Commerciare arricchisce pochi, ma anche loro pagheranno alla fine in salute …. a prescindere dall’avere. Le furbizie, le frodi, le evasioni e le abilità strategiche per innovare sono solo forme illusorie di benessere. Non c’è scambio equo, non c’è considerazione dell’altro. L’ego domina, inganna e distrugge. Solo la politica compiacente approfitta di questa pseudo libertà. Già! Libertà di inquinare, di distruggere nel nome di una creazione che alla fine uccide la stessa vita.

Oggi mantenere la natura nel suo innato aspetto è cosa assai faticosa. Comporta rinunce, adattamento, fatica, sofferenza, ma soprattutto abilità strategica che abbiamo perso. Non mi resta che cercare lo spazio dove ancora posso respirare.

Ecco, preferisco i boschi, quei pochi rimasti dove l’aria è libera e ci conduce davvero sopra ogni cosa.
 
 

 

giovedì 8 ottobre 2015

Ancora Guerra


 
L’Italia ha già deciso “con i nostri alleati di contrastare con la forza” per combattere l’Isis.

 Ricordo, quando al primo sentore in cui l’Italia sosteneva i “nostri alleati” in una “missione bellica”, le piazze si riempivano e le scuole si svuotavano. Una sensibilità apartitica fatta di colori e di solidarietà di gente di ogni età. Oggi i nostri giovani non sanno neppure in che mondo vivono.


Foto Gabriella Parra

A scuola s’insegna come diventare un uomo d’affari, una persona di successo, ma la conoscenza dei testi non è la realtà. La politica è ormai una malattia mondiale, un virus che sta infettando ogni cosa. L’obbedire senza reagire è negare la libertà. L’autorità di una qualsiasi idea o di chi afferma di sapere è qualcosa di alterante ... resterò sempre nella convinzione che la scuola deve operare una profonda trasformazione negli esseri umani, s’impara non solo dai libri ma da ogni cosa che muove la vita.

Non illudiamoci, in questo modo, di tenere le nuove generazioni fuori dalla sofferenza. Continuiamo a fare le guerre, chiamiamole intelligenti o salvifiche se combattono il pericolo numero 1. Ma si sa che non è solo il "nemico" ad armarsi, siamo noi "pacifisti" occidentali che armiamo il nemico. L’Isis ha le sue colpe ed è terrificante il suo agire … ma le armi che usa sono anche nostre. E mi rende triste che al Ministero della Difesa ci sia una donna, Roberta Pinotti, che non esprime quel modo diverso di concepire la realtà tipica dell’archetipo femminile. In questa ministra manca la cultura che porta a comprendere le vie più profonde dell’esistenza.
Dov'è finita la Costituzione?

Di Lei faccio buon uso fin che sono educatrice. La materia è incandescente, la politica è servile agli interessi personali e alle alleanze forti. Il ripudio alla guerra è un valore sacro, non solo nel rispetto della fonte principale del nostro ordinamento, ma perché i nostri giovani possano creare le condizioni sempre più favorevoli al negoziato e alla pacifica convivenza. Non possiamo più condizionarli in quel quadro politico nel quale vivono.





 

domenica 13 settembre 2015

Tutto è correlato



Un vecchio racconto popolare racconta della volpe che beve il latte lasciato incustodito da una vecchia. Costei, in un accesso di rabbia taglia la coda alla volpe, dicendole che la ricucirà quando le sarà reso il latte. La volpe chiede latte alla mucca e questa chiede in cambio un poco d'erba. La volpe va sul campo per avere dell'erba e il campo le dice: “Portami dell'acqua”. Così la volpe si rivolge al torrente, che vuole una brocca. Tutto questo continua finché un mugnaio impietosito dà alla volpe del grano da dare alla gallina che farà l'uovo da dare al mercante che darà la perlina alla ragazza che ha la brocca con cui raccogliere l'acqua... così la volpe recupera la sua coda e se ne va soddisfatta.

Perché avvenga questo deve accadere quello. Nulla viene dal niente, tutto si rifà ad altro.

Analizzando qualsiasi processo possiamo vedere che vale sempre lo stesso principio. Niente sole o acqua, niente vita. Senza le piante non esisterebbe la fotosintesi che produce ossigeno … Mancando le condizioni per la formazione dei pianeti non sarebbe esistito l'universo e nemmeno la Terra.

Rendersi conto di questo potrebbe ampliare il nostro concetto della transitorietà e aiutarci ad attribuire minor significato a eventi, circostanze e rapporti in atto. Potremmo apprezzare maggiormente la vita, la gente, i cibi, le opinioni e i momenti sapendo, per averli analizzati più a fondo, che qualsiasi cosa che ci riguardi ci collega col mondo intero in ciascun istante

da: "Dovunque tu vada, ci sei già" di Jon Kabat Zinn


Grazie per questo chiarimento, pare semplice, ma spesso cadiamo nella trappola della presuntuosità




 

venerdì 11 settembre 2015

Essere felici ... Come?

È innato nell’uomo il desiderio di conseguire la felicità e di eliminare dall’esistenza il dolore e la sofferenza. Ma cosa impedisce alle persone d’essere felici? È frequente vedere gente che si lamenta del tempo, del lavoro, della vita di coppia, delle relazioni. Per molte persone la felicità è una questione d’orgoglio, un obiettivo ambizioso da perseguire con grande impegno e a volte a prezzo di sacrifici. Sarò felice... "quando finalmente sarò ricco", "quando sarò famoso" o "quando avrò una casa".
La felicità è una questione di responsabilità non come un peso che non dà alcuna possibilità di scampo, ma che  dà la possibilità di dire " sono responsabile di come sto e se qualcosa non funziona, ho la possibilità di cambiarla".

La causa principale del dolore e della sofferenza risiede nell’ignoranza e nella confusione mentale, perciò la felicità si può ottenere solo eliminando questi due ostacoli attraverso la liberazione della mente. Conoscere se stessi, controllare le emozioni distruttive, sconfiggere l'egoismo per aprirsi agli altri attraverso l'esercizio quotidiano alla compassione sono, in sintesi gli insegnamenti che il buddismo indica come gli ingredienti fondamentali per un'esistenza più felice.
E come dice il Dalai Lama “L'arte della felicità non attinge a credenze religiose o verità assolute, ma è la conquista e l'esercizio di una pratica quotidiana, difficile ma possibile: conoscere se stessi, capire le ragioni degli altri, aprirsi al diverso e guardare le cose in modo nuovo. In una parola, riscoprire la qualità umana per eccellenza: la compassione. Insegnandoci a trasformare le avversità in occasioni per conquistare una stabile e profonda serenità interiore”.

Importante è "osservare" i contenuti della mente senza lasciarsi trascinare dall'assorbimento autoidentificativo. La mente assorbe la realtà e poi la ri-proietta modificata, inoltre essa ci trascina ad identificarci con tale realtà "alterata" da molteplici condizionamenti. Purtroppo non sempre ne siamo consapevoli,  a volte creiamo una divisione tra l’osservatore e l’osservato, tra il soggetto dell’esperienza e l’esperienza stessa. L’essere umano ha creato dentro di sé "immagini" di un proprio bisogno di sicurezza, in modo da rassicurarsi una identità e dei punti di riferimento dove appoggiarsi. Invece si è ritrovato con immagine false che lo hanno condizionato. Il bisogno, oltre ad essere di richiamo è il segno di un disagio interiore, di una disarmonia, poiché se desideriamo la felicità e perché siamo infelici.

Sfogliando le pagine di un questionario fatto dai ragazzi di un liceo di Roma Paolo Crepet notò che non compariva mai la parola felicità e, chiedendo spiegazioni, i ragazzi risposero che trovavano quel termine “imbarazzante”.  Nella nostra cultura non è facile trovare la felicità e c’insegna a vivere le gioie come qualcosa da temere. Per Freud “…il prezzo del progresso della civiltà si è pagato con una crescente riduzione della felicità dovuta all’intensificarsi del senso di colpa … l’uomo ha sempre incautamente barattato la felicità con il senso di colpa”.

La felicità è dunque una conquista personale, uno stato mentale, non dipendente dai fenomeni esterni che, erroneamente e illusoriamente, siamo portati a credere d’esistenza intrinseca.

Lo sviluppo spirituale è connesso con il nostro essere felici ed è una capacità innata in tutti gli esseri umani, ma con l’avvento dell’era industriale la crescita spirituale è notevolmente diminuita. Il senso della realtà accettabile accoglie prevalentemente solo gli aspetti materiali, tangibili, misurabili dell'esistenza e questo ha portato ad un mal-essere diffuso. Il problema per l’uomo, secondo Fromm, sta nel fatto che l’ordinamento sociale umano non è adeguato alle sue reali potenzialità e quindi non favorisce la sua autenticità. Nel suo libro “Avere o essere” individua una serie di legami dell’uomo occidentale nell’uso esasperato dell’immagine e nei bisogni indotti; vincoli che impediscono appunto lo sviluppo del libero arbitrio. Solo la presenza di molte garanzie esterne protegge dall'angoscia e dalla depressione la persona di carattere ricettivo, perché essa ha perduto il contatto con la propria capacità interiore di produrre, di assumere iniziative, di formarsi delle convinzioni, di esprimersi autonomamente, di prendere decisioni, di amare, di essere.

Nella sua autobiografia Carl Gustav Jung afferma di aver rilevato, attraverso l'esame di migliaia di pazienti assistiti nella sua lunga carriera di psicologo, che oltre il novanta per cento della sofferenza psicologica è imputabile a carenze spirituali. Non è vero dunque che i beni materiali, la ricchezza e il successo riempiano la vita; per essere veramente e intimamente felice l'uomo ha bisogno di ben altro.

L’educazione interiore non è soltanto un percorso spirituale, ma un programma che gli esseri umani hanno sempre  intrapreso e perseguito al fine di sviluppare le potenzialità del pensiero introspettivo, per poi ampliare la razionalità, giungendo ad un contatto più stretto e sentito con il proprio e creare, plasmare un io più emancipato, maggiormente predisposto alle interrelazioni, sviluppando rapporti profondi e proficui con le persone. Ogni individuo che intraprende il percorso di conoscenza del proprio sé giunge a recuperare una maggiore attenzione verso un modo di essere più spazioso. Sempre più persone sono alla ricerca di risposte creative ai loro problemi e soprattutto di nuovi valori che diano un senso alla loro esistenza. Cresce l'esigenza di superare i vecchi schemi, i condizionamenti e di sentirsi liberi di seguire la propria strada. Questo è possibile facendo pratica con il nostro mondo interiore, conoscendolo a fondo e facendo germogliare i nostri talenti nascosti.

Oggi, si sta sviluppando un certo interesse per i rapporti tra psicologia e Buddhismo, un’attenzione determinata dai limiti emersi all’efficacia che la sola psicoterapia, possa bastare a risolvere i problemi, concentrandosi solo sulla ristrutturazione dell'io. La psicoterapia più tradizionale, infatti, non sempre sa cogliere gli aspetti più radicali della domanda d'aiuto da parte del paziente. Mentre in una pratica spirituale, in particolare se basata su tecniche meditative "forti", vengono vissuti conflitti psicologici, di cui si dovrebbe invece occupare la psicoterapia. Spesso l’interesse per la pratica spirituale è un alibi per nascondere o sopportare conflitti psicologici non risolti. Molte persone portano nella propria vita spirituale conflitti che non possono venire in essa risolti.

L'essere umano è qualcosa in più di quel mal-essere avvertito o identificato: il tutto è più della somma delle parti.

La sofferenza esiste e non è possibile evitarla né allontanandosi fisicamente, né coltivando illusioni.




“L’evidenza del dolore, del suo radicamento in ogni evento della vita umana, dalla nascita alla morte, può essere compresa da chiunque sia disposto ad accettare la propria esperienza esistenziale per quella che è, senza frapporvi la lente deformante dell’illusione autoconsolatoria”.

  (Mark Epstein).





Sia nel Buddhismo che nella la psicoterapia l'unica via d'uscita consiste in un lavoro approfondito
sulla mente, ma mentre la psicoterapia indaga sulle forme di sofferenza psicotica e borderline, il Buddhismo si occupa della sofferenza del cambiamento e della sofferenza onnipervasiva, su cui la psicologia non ha molto da dire. Il Buddhismo si occupa di  tre tipi di sofferenza:

1)      Dukka - la comune sofferenza, che deriva dalla nascita, la malattia, l'invecchiamento, la morte e che  si scontrano con le nostre fantasie illusorie di immortalità. Non ottenere ciò che si desidera, convivere con ciò che non si desidera ed essere separati da ciò che si ha caro crea insoddisfazione e il non riuscire a realizzare tutti i desideri.

2)      Viparinama-duhkha, la sofferenza come effetto del cambiamento, cioè la sofferenza che nasce quando un fenomeno piacevole con il tempo tende a divenire spiacevole, come ad esempio quando il piacere prolungato si trasforma in dolore o la persona a noi più cara diviene il nostro peggiore nemico.

3)      Samskara-duhkha, la sofferenza che pervade ogni fenomeno e che è connessa al nostro dipendere dai cinque aggregati psicofisici: la materia, la sensazione, la percezione, i fattori mentali e la coscienza. 

 La rinascita spirituale mette in movimento l'individuo verso un modo più vasto di essere, in grado di procurare una salute emotiva migliore, una maggior libertà delle scelte personali, il senso di un legame più profondo con gli altri, con la natura e con il cosmo. Il termine che è usato per indicare l'esperienza diretta delle realtà spirituali è "transpersonale" che, se pur appare di recente, si rifà alle antiche tradizioni spirituali (il Buddhismo, il Sufismo, l'Induismo, il Taoismo e altre ancora). Questa esperienza la possiamo comprendere partendo dalle prove che la nostra vita ci offre. Sono presenti molti casi di situazioni limiti, come per es. un incidente stradale,  la perdita di coscienza, ma anche il parto o uno sforzo intenso e tutte quelle esperienze di quasi-morte. Esperienze che di solito sono insopportabili e dolorose, ma anche possono far immergere la persona nel suo inconscio. Altri esempi sono i sogni, una ricchezza d’immagini, sensazioni corporee e di emozioni, le sedute d’ipnosi e varie pratiche spirituali.

Con i nostri sensi ordinari possiamo sperimentare solo ciò che avviene qui e ora, nel luogo e nell'istante in cui ci troviamo. Negli stati mentali transpersonali, sperimentiamo noi stessi come un campo di coscienza, un luogo di scambio di energie, che non sono prigioniere di un contenitore fisico. Possiamo sentirci tutt'uno con altre persone, gruppi d’individui, perfino con l'intera umanità.

Il termine transpersonale sembra essere stato utilizzato per la prima volta da Roberto Assagioli, il creatore della psicosintesi ed in seguito da Gustav Jung. Questo orientamento cominciò ad affermarsi nel campo della psicologia intorno agli anni sessanta, a partire dall'opera di A. Maslow, il quale per primo mise l'accento su una psicologia "evolutiva" che considerasse lo "sviluppo delle potenzialità", "la soddisfazione graduale dei bisogni" la relazione tra "persona e persona" nel rapporto terapeutico, l'esperienza mistica, come momenti fondanti di un percorso d’auto-realizzazione. Secondo l’autore, l’auto-realizzazione è lo scopo finale di una persona. Essa però può richiamarvi l’attenzione solo dopo che i bisogni fisiologici, di salvezza, d’appartenenza, di amore e di stima siano stati soddisfatti. Le persone autorealizzate sono coloro che hanno soddisfatto i “loro bisogni” ad ogni livello. Quando i bisogni fondamentali non sono stati soddisfatti, permangono le frustrazioni alle esigenze positive di realizzazione del sé; di conseguenza le persone avranno problemi di crescita o di sviluppo personale.

Molte potenzialità umane sono a nostra disposizione, ma ciascuno di noi nasce in una particolare cultura la quale seleziona e sviluppa un piccolo numero di queste potenzialità e ne respinge o ignora molte altre. Quando si lasciano affiorare e li si sperimenta sino in fondo, integrandoli nella coscienza, essi perdono il loro potere di influire su di noi in modo negativo. Questi stati transpersonali possono innescare una trasformazione molto benefica su chi li vive e sulla sua esistenza.

Possono inoltre ridurre le tendenze aggressive, migliorare l'auto-immagine, accrescere la tolleranza verso gli altri, promuovere la qualità generale della vita, favorire un profondo senso d’unione con gli altri e con la natura.

“… Esiste una vasta area, nell’ambito della trasformazione della personalità che non riusciamo a  cogliere  e che possiamo attribuire alla misteriosa creatività della vita … La disperazione ha dato luogo alla speranza, l’egoismo è stato sostituito dalla dedizione, la vigliaccheria si è trasformata in coraggio, il dolore è stato sconfitto dalla gioia, la solitudine è stata dissipata dall’amore … Noi, nella nostra funzione di counselor , abbiamo dato una guida, ma sono le forze creative della vita che operano il miracolo della trasformazione”.

Con la saggezza e il profondo calore umano, Rollo May spiega come il compito del counselor sia quello di favorire lo sviluppo e l'utilizzazione delle potenzialità del cliente attraverso un atteggiamento empatico che fa trasparire la capacità di accogliere e rispettare l'altro.

“Il coraggio che ogni uomo deve possedere è di essere se stessi e di confidare in se stessi nonostante la propria limitatezza; significa agire, amare e pensare, pur sapendo di non possedere le risposte definitive”.

Dobbiamo imparare ad abbandonare il proprio sé all’altro, essere disposti a venire trasformati… morire a se stessi per vivere con gli altri. È la perdita temporanea della propria personalità per ritrovarla, infinitamente più ricca, nell’altro. “Ciò che tu semini non riprende vita se prima non muore…”

Come si può procedere in un mondo dove tutto è così accelerato, dove l’alibi “non ho più tempo” estranea sempre più l’essere umano dalla sua vera natura riducendolo a macchina produttiva  e accumulatrice?  Quale è allora il primo passo per giungere a questa consapevolezza? Come vivere pienamente e in modo sano una vita spirituale?

Un modo è guardare avanti e scoprire, in mezzo al disordine, anche l’armonia dei nuovi percorsi esistenziali e spirituali e la ricchezza delle nuove culture e dei nuovi stili di vita. L’Educazione interiore è stato il percorso più consone per iniziare l’evoluzione del mio essere. Attraverso l’auto-esplorazione ho intrapreso il viaggio verso la conoscenza e recuperato una maggiore attenzione per la dimensione affettiva di molte emoziona latenti e maturato rapporti più autentici con le persone.

I passi sono stati graduali e spesso difficili, ma i margini di riflessione che gradualmente mi sono donata mi hanno portato nella mia storia, analizzando le vicende tra gioie e dolori, ripercorrendo successi o insuccessi e tutte le singolarità del mio vivere quotidiano. Quello stare poi con me stessa ha fatto il resto. Le prospettive che offre la meditazione sono innumerevoli.

Non mi è facile dare un significato di meditazione o a cosa porti perché è una pratica nella quale gli effetti sono intimi e unici per ogni persona, solo essere in meditazione si comprende che cosa essa sia. Meditare non è sempre facile n’è piacevole: la posizione, la rinuncia  al fare, il doversi predisporre a stare lì quando si hanno piccoli e numerosi impegni diventano spesso degli ostacoli. Poi senti che quel momento è singolare, ha qualcosa che esula dalle teorie o dal seguire i consigli. Si comincia dal sentire qualcosa che cambia per poi diventare, a lungo andare, una forma di terapia dove tensioni, ansie o preoccupazioni perdono la loro forza. Lo si avverte da ogni gesto che viene fatto, anche su quelli che prima apparivano insignificanti come il camminare o l’osservare una foglia che cade dal ramo. Il senso della meditazione scaturisce gradualmente, ma prima è necessario un lavoro su di sé. Meditare è raccogliere l’attenzione concentrandosi sul proprio sentire interiore, ascoltando il battito del cuore o seguendo il respiro per arrivare lentamente alla condizione naturale e sana del corpo e della mente. Attraverso una serie di esplorazioni della propria dinamica fisica e mentale si è pienamente presenti, consapevoli del qui ed ora. Meditare porta al raggiungimento di uno stato di calma fisica e mentale che è l’accesso più diretto alla comprensione dell’impermanenza in ogni aspetto della nostra esistenza. Ogni cosa, persona, essere, fenomeno, situazione sono impermanenti, attivi, condizionati, ossia soggetti a nascita e distruzione. Se abbiamo qualcuno o qualcosa che ci piace abbiamo paura di perderla, se ci manca qualcosa o qualcuno ci preoccupiamo di cercarlo. Desideriamo che le cose  siano permanenti, ma ci scontriamo in modo forte tra come è la realtà e  come  vorremmo che fosse. Per  essere felici pensiamo che debbano essere soddisfatte certe condizioni, ma non possono mai esserlo perché  sono condizioni transitorie questo è un modo difficile poi da sopportare. C’è un continuo darsi da fare, un’incessante ricerca del momento successivo, un insaziabile aggrapparsi alla vita, uno stato di agitata irrequietezza. Soffriamo per ogni cambiamento, le cose belle vorremmo che durassero in eterno e quelle spiacevoli evitarle a tutti i costi. È  come il giardino del vicino che è sempre più verde del nostro, ma appena diventa nostro perde quel luccichio che aveva quando lo desideravamo. Ecco la meditazione è comprendere il passaggio della transitorietà, ci consente di cedere all’attaccamento e all’identificarci fortemente a quel io generato da un concetto, mentre l’io è un processo, la persona è un processo…Si può osservare la natura mutevole dei fenomeni ponendo l’attenzione sulle sensazioni fisiche nel corpo e si arriva a comprendere che la realtà non è statica e che ogni cosa cambia in continuazione. Meditare porta, pian piano, alla cessazione della sofferenza e delle tensioni interne. Se  non c’è più quel io nel quale ci identifichiamo fortemente si rimuovono tutti i condizionamenti che quel io si porta dietro, come il dover rispondere in maniera conflittuale  a certe sollecitazioni o a l’aver bisogno di certe cose:  tutto emerge  per quello che è.
 
Allora meno ci si identifica con lo strumento mente/corpo, meno si è coinvolti da esso e più si ha il controllo dello stesso. Spezzare questo meccanismo è importante e ci si può riuscire se si mette a fuoco un altro aspetto della questione, l'uomo vive in ragione della soddisfazione dei "bisogni", il bisogno di essere felice, di star bene, di esser contento, di esser sereno in opposizione allo star male, alla sofferenza, qualunque essa sia.
Il lavoro spirituale  non sostituisce il lavoro psicologico, ma anzi può integrarlo.
L'incontro tra psicologia e Buddhismo può risultare particolarmente fecondo in quanto si può dimostrare come non sia del tutto vero l'asserzione freudiana del principio di piacere, secondo cui vi sarebbe un'automatica reazione di allontanamento da ciò che è spiacevole e di avvicinamento a quanto è invece piacevole, poiché alcune tecniche meditative, se basate sulla consapevolezza, lavorano efficacemente proprio tra la sensazione piacevole o spiacevole e il desiderio o l'avversione successivi. 
Inoltre, con questa pratica s’incrementa l’amorevole gentilezza e l’attitudine a eseguire le nostre funzioni quotidiani con maggiore comprensione, si comprende l’essenza della consapevolezza dell’essere. È qualcosa  che ci riempie  di  energia ci fa star meglio nel presente, aiuta a capire quello che si è e come si è in quel momento. Non ci isola dalla realtà, ma ci aiuta a vivere meglio la nostra vita. È sorprendente come nel mondo si stanno diffondendo sempre di più centri di meditazione e sempre più sono le persone che trovano questa pratica molto più salutare di un farmaco calmante. Il mio augurio è che, anche nelle scuole, possa diffondersi come disciplina quotidiana, non solo come fonte per un risveglio interiore, ma per rendere molto più efficace lo studio ed ogni aspetto della vita quotidiana,  momento per momento.

 

 

 

 



 

giovedì 10 settembre 2015

Migrare nel lavoro


Perché non si racconta la verità? E’ vero che nella “notte dei precari” migliaia d’insegnanti hanno ricevuto la comunicazione della nuova destinazione, ma non si racconta come il trasferimento metterà in ginocchio molte famiglie. Già, di fronte alla crisi occupazionale, molti insegnanti saranno costretti ad accettare cattedre fuori provincia, chi rifiuta perderà il diritto all’assunzione.

Ecco alcune situazioni reali, testimonianze spontanee di docenti precari che sono stati assunti a centinaia di Km di distanza da casa loro.



Non si tratta di giovani avventurosi, ma madri, padri di famiglia ormai adulti, molti tra i 50 e i 55 anni. Persone che hanno un mutuo, genitori anziani da assistere e che dovranno spendere il misero stipendio per muoversi … alcuni per restare e ricominciare. E che senso ha la ricetta "tariffe e affitti agevolati per i precari" quando i proprietari d’immobili vogliono l’affare? Questi governanti li vorrei avventurosi come loro …. Mah!

Qualcuno mi risponde che la vita è un'avventura: “Tutti dobbiamo sempre affrontare sfide. Io non mi ritengo avventuroso ma a 52 anni ho chiuso una attività e ne ho iniziata un'altra(con molte incognite e debiti credimi) e il mondo è pieno di persone che fanno lo stesso, la vicenda migranti, i lavoratori in quasi tutto il mondo: cambiano, ma si muovono. è questo desiderio di sicurezza (comprensibilissimo) di riconoscimento x grazia di categoria che tutti noi dovremmo elargire alla casta degli insegnanti che è un castello di sabbia, una realtà dedicata... Ognuno di noi ha una sua realtà dedicata, ma è bene accorgersene”

Concordo che la vita è un’avventura, ma quando lo sforzo cosciente influisce sulla qualità e non una roulette messa in moto da chi poi osanna alla vittoria, incurante degli effetti umani che, probabilmente, poco conosce il mio interlocutore. La vita è una scalata e ciascuno cerca di trovare la via che, dalla base, lo porti in cima. Le sfide sono tante, spesso ardue e, di sicuro, non avventurose per chi è costretto a fuggire dalla morte violenta, come quei fiumi umani che migrano, inondando le terre europee, africane, messicane, … (è terribile solo a pensarci). Non è un’impresa libera per i disoccupati di qualsiasi età, costretti ad abbandonare quel poco di sicurezza offerta dal luogo di origine. Non è libertà di scelta per chi perde il lavoro e che elemosina un piatto caldo nelle lunghe file della Caritas o chi è costretto a trasferirsi lontano dalla forza del ricatto … farlo a 50 anni è molto doloroso.

Lui parli di “Casta” … davvero pesante! Ci stiamo abituando al degrado delle funzioni sociali e che investe soprattutto il mondo dell’educazione. A prescindere dall’aspetto economico che ha ben poco di privilegiato, chi ha 20 anni di precariato nella scuola a 1200 euro per 9 mesi l’anno, non può altro che dimostrare l’anima educativa e il coraggio di una missione così svalutata dal mercato. Comparare e comunicare il proprio successo può gratificare. Elogiare le proprie virtù può infondere coraggio, ma anche trasmettere più timori che speranze. L’esaltazione è un modo di pensare e vedere la realtà oggi troppo diffusa da chi si trova in cima alla montagna. Che senso ha prendere il suo esempio quando ognuno ha la sua storia? Se c’è anche una sola possibilità di scelta, si è più responsabili con il proprio modo di vivere. E’ quando non c’è che preoccupa!

… e se la vita fa da maestra, possa perdere la
 sua asprezza e sia più dolce e salutare per ogni
essere, senza doverci spingere tanto più in là
solo con l’immaginazione!
 
 
 
 

mercoledì 9 settembre 2015

Libertà

mia foto

La ricerca della libertà è qualcosa che ci confina. Possiamo tagliare i fili o liberarci da una lunga catena. Non è una cortina di ferro né un’area di libero transito. Non è una rete metallica che divide i mondi ...

Non sarà forse il nostro ego che dobbiamo liberare?


martedì 8 settembre 2015

Scrutini ingannevoli


Tutto inizia con gli scrutini di giugno, dove è esplosa la fantasia tipica della scuola italiana. Da una realtà molto critica emersa solo un mese prima, si sono impastati i numeri con un occhio chiuso e l’altro pure. La lievitazione dei 4 o 5 in 6 non richiede tempo, bisogna fare in fretta poiché ci sono altre classi da scrutinare. La parola chiave è "AIUTARE" (sic!). La coscienza è tranquilla, nessun ricorso all’orizzonte, tutto è bastante a rincuorare genitori e alunni, liberi di fare le programmate vacanze e, per i pochi debiti rimasti, ci si può preoccupare due o tre giorni prima del “temibile” esame di “recupero”.  Come  a giugno, così è accaduto a settembre. A scuola si danno i numeri vincenti. Di colpo sono stati ripuliti i risultati negativi degli esami di recupero e nascosto verità che sempre più ci sfugge. L’indecenza ha superato il mio grado di tollerabilità anche perché, per votare la promozione, sono stati inseriti tre docenti non della classe. Si doveva salvare ancora una volta il “numero” che in questo caso si chiama “legale” 10 discipline = 10 docenti, non importa se quei tre “angeli” non conoscevano gli alunni. Che pacchia per gli studenti che si sono trovati la promozione dopo il lungo e meritato riposo. Sempre più l'insegnamento non coinvolge gli studenti in apprendimenti che richiedono abilità e conoscenze utili nei contesti reali. Va bene acquisire qualche nozione mnemonica, masticata alla fine del percorso. Il premio è quanto basta a non bocciare; ciò che conta è il voto. M’invitano a non prendermela, a non arrabbiarmi. “Cosa ci puoi fare? E’ sempre stato così”. Parole non sufficienti a frenare l’irritazione, troppo sconvolta perché trattenga, anche se poi mi ha seccato il non averlo fatto. Dovevo farmi sentire. Non ci sto, non riesco ad accettare promozioni a chi non se lo merita in nome del mercato e svalutando il processo educativo Oggi più di ieri non ci sto di fronte a quella fiumana di bambini e adolescenti costretti ad affrontare lunghe marce in cerca di un luogo dove poter vivere, mentre ai nostri “protetti” è venuta meno ogni sfida.

Questi adolescenti, oggi più di ieri, hanno bisogno di aiuto e lo dobbiamo dare se vogliamo che diventino “adulti” e non solo “grandi”. E in questo mi affido al vero ruolo dei genitori e degli insegnanti, entrambi influenti sull'educazione e che spesso non sono capaci di incontrarsi per un’alleanza educativa. I primi perché troppo protettivi e prepotenti, i secondi per il timore del fantasma minaccioso del ricorso e per il numero d’iscritti che permettono agevolazioni finanziarie o il mantenimento del posto. I nostri studenti hanno ricevuto false informazioni riversando la loro inerzia nei recuperi finali di giugno e settembre. Per abitudine acquisita, si sono impigriti, abituandosi a passare il tempo nel loro mondo digitale, rendendo così vana l’acquisizione di conoscenze e la loro rielaborazione. Non esiste il diritto alla promozione e della pedagogia compiacente non so che farmene. La bocciatura non è una “punizione”, può essere costruttiva e più educativa che andare avanti senza le basi necessarie, soprattutto se si seguono certi indirizzi professionali. Ma ormai si sa che il bocciato fa sempre ricorso e sono guai non per chi ha mai fatto un tubo, ma per gli insegnanti che si vedono piombare gli ispettori che esaminano e mortificano. E così neghiamo a loro il vero ruolo di studenti che non solo richiede un po’ di sacrifici, ma soprattutto impegno, partecipazione, responsabilità e rispetto delle regole. A prescindere dal voto, non possiamo dare a un adolescente una “valutazione” scolastica ingannevole, i rischi non sono pochi e la realtà quotidiana offre testimonianze di persone ignoranti che ci governano o amministrano nell’illegalità e nel pressapochismo. I nostri adolescenti hanno perso la coscienza sui misteri della vita e non per loro sola colpa. Senza lo spirito dell’indagine vanifica la loro presenza. Non si chiedono più chi sono, cosa significa essere studenti, figli, lavoratori, migranti …. Non si pongono più domande e, quindi, non ci sono più quelle riflessioni che portano ad altri interrogativi per poi lasciarli filtrare, maturare e crescere. In questa eccessiva”protezione” non sono più disposti a faticare ed ecco i risultati.

Un buon educatore rende l’alunno più sicuro, più allenato e più efficace anche nei suoi momenti critici, poiché lo guida a fare esperienza, a sentire nella pelle i cambiamenti e quindi a evolversi.

Con questo scrutinio settembrino e le promozioni elargite anche da docenti sostitutivi non della classe mi sono proprio rotta. Continuiamo pure a illuderli, poi saranno loro a truffare. O forse no,  non trufferanno, non più di quanto facciamo noi adulti. Piuttosto si squaglieranno di fronte alla prima vera difficoltà che la vita gli metterà davanti. Stiamo facendo crescere degli invertebrati! Troppe buone parole sono state spese e disperse nel vento. Qui la controversia non è la selezione, ma un vituperio al valore dell’educazione. Queste sono le risposte, ma non mi sento fallita, forse impotente contro i meccanismi che si stanno istituendo, tanto da vergognarmi non come insegnante, ma come educatrice. … ci saranno solo assuefazione e sempre più apatia se le parole restano tali.

8 settembre 2015                                              

                                                      

mercoledì 3 giugno 2015

Scrutini senza inganno e ricatti


Ci siamo quasi, è tempo di scrutini. Sempre più le scuole si stanno trasformando allo scopo di favorire il mercato e non la persona. Al collegio docenti ci consigliano di dare agli alunni una possibilità fino all’ultimo giorno anche a chi, per un anno intero, ha lavorato poco o nulla e solo alla fine si scuote un po’.  Più alunni promossi più la scuola incassa. Come insegnante non sempre mi ritrovo in accordo alla dirigenza e al suo staff, non si può fare mercato sull’educazione. A nulla servono le minacce dei ricorsi o la rabbia dei genitori. Educare è un’arte, dove ogni insegnante deve escogitare strategie, inventare e immaginare percorsi possibili e non è facile aiutare a tirar fuori ciò che sta dentro ad ogni alunno in un mondo così condizionato, così incompreso e così connesso al traffico commerciale.

Ed ecco i pianti di chi alla fine dell’anno sente la sconfitta. Questi giovani arrivano alle scuole superiori già feriti da troppo protezionismo e rassicurazioni … “Va tutto bene, non preoccuparti”. Perché ingannarli? Negli ultimi anni le competenze degli studenti seguono una tendenza negativa tanto da richiedere azioni incisive come i corsi di recupero o percorsi individualizzati liberandoli non solo dalla responsabilità del loro ruolo, ma sostenendo la richiesta dei genitori a fare molto di più per i loro figli. E perché non spronare i genitori ad assumersi pienamente il proprio compito educativo senza incolpare l’insegnante del fallimento dei figli? E come qualcuno asserisce, le difficoltà mettono radici, i modelli si cristallizzano e gli stereotipi prendono il sopravvento.

Abbiamo contribuito a creare una società malsana tanto da avere più di 2 milioni di giovani NEET. I nostri adolescenti se pur considerati “grandi” nel pianeta dei consumi e abili nell’uso delle tecnologie, dall’altro sono stabilmente tutelati dal lupo cattivo. Non solo non siamo più capaci di chiedere a loro responsabilità, ma li incoraggiamo a essere sempre più lontani dall’avere un’idea sul futuro. Diciamo loro di non stare in apprensione ma è quando tutto non va liscio, cadono nella disperazione e sperano di trovare altri conforti.

Il danno passato è inconsapevole, ma è altro danno il nostro pietismo e la paura dei ricorsi tanto da elargire promozioni ingannevoli. Pensiamo davvero in questo modo di aiutarli promuovendo chi non è degno? Se a 16, 17 anni si comportano così, come saranno a 25 o 30? S’inventano nuove teorie e poi si trasformano in verità. Una realtà che si ripete ogni anno, tanto da trasmettere alle future generazioni che, anche se non si fa nulla, tutto si risolve, l’importante è recuperare all’ultimo istante. E’ la via dei furbi ed è la più facile. Bella scuola la nostra e poi ci si stupisce quando un criminale dopo aver corrotto, rubato o evaso può essere eletto e pretendere di rappresentarci solo perché ha compiuto un atto di beneficienza. Non temo i ricorsi né le pretese dei genitori protettivi. E se poi, secondo la “Buona Scuola” non sono meritevole di essere una “buona” insegnante, allora datemi un calcio e restituitemi il diritto ad andare in pensione. La società si sta disgregando e tutto va troppo veloce, per me scuola è rigenerare la persona e non per sfornare potenziali consumatori e disonesti.